Capire l’arte contemporanea

Quando la mia “argentata” mamma, da me artisticamente definita “l’ultima degli Impressionisti”(tanto gli altri Impressionisti i suoi quadri non li hanno mai visti e non mi possono smentire!), sospira di fronte a un’opera d’arte contemporanea uno sconsolato “questa proprio non lo capisco!”, non posso che darle ragione. Perché, forse, non c’è proprio niente da capire e tantomeno da spiegare. Ma per chi, come lei, è cresciuto con l’idea e con la formazione che qualsiasi opera debba rispondere a determinati canoni di bellezza, descrittività e proporzione, non è facile accettare che qualcosa che viene definito “opera d’arte” non sia spiegabile.

Con i bambini, esclusi gli irriducibili pignoli (Numero Quattro ne è un perfetto esempio!), le cose sono più semplici. Anzi, a volte portarli a vedere una mostra di un super artista contemporaneo, può trasformarsi in un’esperienza che sta a metà fra una visita al luna park e un atelier creativo. Faccio un esempio: al Centre Pompidou di Parigi è in corso una retrospettiva su Jeff Koons, sicuramente uno degli artisti più mediatici al mondo. Numero Tre e Numero Quattro, insieme a un numero enorme di bambini che affollano regolarmente le sale dell’esposizione, l’hanno trovata a dir poco fantastica. Perché? Eccezion fatta per qualche opera, in ciò che vedevano si sono “ritrovati”, hanno potuto fare dei collegamenti diretti con la loro quotidianità (“Ehi, mamma, il cagnolino di palloncini rosa è come quelli che fa Ciccio Tempesta alle feste di compleanno!” ha urlato Numero Quattro, facendo trasalire la metà dei visitatori), hanno persino potuto immaginare che, quegli stessi capolavori li potrebbero facilmente riprodurre (tornati a casa la mia aspirapolvere ha rischiato di essere rinchiusa in uno scatolone; peccato non averne avuto uno trasparente!). Si sono sentiti, diciamolo, un po’ protagonisti della mostra.

Ricordo una volta in cui ho portato Numero Uno e Numero Due alla FIAC, la fiera di arte contemporanea di Parigi. Di fronte a una tela di grandi proporzioni (e dal prezzo esorbitante!) di Basquiat, le due, vista l’attenzione con la quale la stavo contemplando, mi hanno detto quasi in coro “mamma, ma se ti piace così tanto a casa te lo possiamo rifare uguale!”.

Un paio di mesi fa, al MOMA, Numero Uno e i suoi amici, che tanto bambini non sono più, sono stati comunque al gioco e, di fronte a tre tele bianche incorniciate, hanno accettato di buon grado di trasformarsi nel “contenuto” delle tele stesse e di diventarne i protagonisti.

Ecco, quello che proprio mi piace dei bambini è la loro capacità di “starci”, di provare, di sperimentare e di non voler sempre e comunque CAPIRE. A noi “grandi”dovrebbero davvero servire da esempio: il vizio di comprendere e giudicare ci impedisce troppo spesso di goderci le cose e di… FARLE.

P.S. alla mia mamma, però, continuerò a dire che non c’è niente da capire e che si può sentire libera di dire che quelle opere lì NON LE PIACCIONO.

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